infezioni delle protesi ance ginocchio

Infezioni delle protesi di anca o ginocchio. Quali sono i rischi?

Prima di sottoporsi a un impianto protesico di chirurgia  ortopedica ogni paziente dovrebbe essere conscio dell’esistenza di un rischio, seppur minimo, di infezioni della protesi. In questo articolo vediamo i sintomi dell’ infezione a cui prestare attenzione. 

“Le protesi possono infettarsi ?”

Sono  pochi i pazienti che mi pongono questa domanda: generalmente i quesiti più frequenti riguardano la durata dell’intervento, i tempi e le modalità di recupero.

Tuttavia è importante fare chiarezza sul rischio di infezioni delle protesi che è un rischio di cui spesso i pazienti sono poco consapevoli e che invece è uno dei più temuti da noi chirurghi ortopedici. 

 Cosa sono le infezioni della protesi

Si parla di infezione quando una protesi e l’osso che la circonda vengono aggrediti da una popolazione di batteri che, organizzandosi in una patina superficiale tipica dei batteri detta biofilm, può causare problematiche di integrazione della protesi stessa con l’osso. Si chiama tecnicamente infezione periprotesica

L’infezione periprotesica è un’eventualità che si verifica fortunatamente in meno del 2% dei casi per le protesi di anca e di ginocchio. Negli ultimi 15-20 anni si è poi molto ridotta l’incidenza  percentuale di complicanze infettive (grazie a più moderne pratiche per la sterilità in sala operatoria) ma il loro numero è cresciuto in termini assoluti poiché è aumentato notevolmente il numero di impianti protesici di anca e ginocchio.

Perché è così temibile

Bisogna sapere che l’ortopedico, più di ogni altro chirurgo, teme le infezioni. Questo perché in condizioni di normalità l’osso è una zona del corpo priva di contaminazione batterica (diversamente, ad esempio, dagli organi addominali, dai genitali, dalla cavità orale e nasale etc.) e inoltre l’osso – e ancor più l’interfaccia tra la protesi e l’osso – è una zona poco vascolarizzata e inerte. Questo fa sì che, in caso di aggressione da parte di batteri, diventi molto difficile debellarli poiché sono zone poco raggiunte e poco penetrabili dagli antibiotici. Ecco perché l’ortopedico è generalmente più cauto rispetto agli altri chirurghi in tema di sterilità in sala operatoria e utilizza doppio o anche triplo paio di guanti sterili, camici sterili e spesso anche dei caschi con delle grosse visiere sterili. 

Eccomi, in questa foto in sala operatoria, con la “tuta integrale” con casco sterile con ventilazione interna. 

Da dove arrivano i batteri?

Purtroppo, nonostante i chirurghi e tutto il personale di sala seguano attentamente i protocolli della sterilità, le infezioni si possono comunque verificare. 

Questo perché, va chiarito, la pressoché totalità delle infezioni non dipende dall’operato dell’equipe chirurgica, bensì da una serie di caratteristiche del paziente. E, non ultimo, il fattore poco scientifico della sfortuna. Ecco perché spesso i chirurghi sono scaramantici. 

Spesso infatti i batteri che attaccano la protesi non vengono dal chirurgo o dalla sala operatoria, bensì dalla pelle del paziente stesso che è fisiologicamente colonizzata da batteri. Altre volte, sempre in casi sfortunati, si verificano delle infezioni ematogene (cioè dal sangue) che possono portare i batteri alla protesi. Mi spiego: sono i casi in cui i batteri entrano nel torrente circolatorio, ad esempio, da un’infezione dentale e da lì possono raggiungere e aggredire la protesi nonostante questa sia fisicamente lontana dal dente infetto. 

Esistono particolari  fattori di rischio individuali?

Esistono certamente dei fattori individuali del paziente che possono aumentare il rischio di infezioni.

Si tratta principalmente di malattie croniche e elementi molto spesso non modificabili: 

  • età avanzata
  • artrite reumatoide
  • diabete scompensato
  • cardiopatie
  • neoplasie – tumori
  • anemie e malattie del sangue
  • malattie croniche dell’apparato renale
  • precedenti interventi ad anca o ginocchio
  • infiltrazioni articolari nei 3-6 mesi precedenti
  • scarsa igiene del paziente
  • eventuali processi infettivi già in atto al momento dell’operazione, che il paziente deve attentamente segnalare all’ortopedico 

Quali sono le tempistiche delle infezioni?

Nella maggior parte dei casi l’infezione si rende evidente già nelle prime settimane post operatorie (infezioni precoci) mentre sono più rare quelle tardive (oltre i 24 mesi dall’intervento) che sono tipicamente causate da infezioni ematogene, sopra descritte. 

I possibili sintomi dell’infezione di protesi del ginocchio o dell’anca

Generalmente, un’infezione periprotesica si manifesta con:

  • Febbre (più alta nelle infezioni precoci, febbricola o febbre assente nelle infezioni tardive)
  • Eccessivo arrossamento e calore dell’area interessata
  • Mancata chiusura dei bordi della ferita con secrezione (deiscenza di ferita)
  • Eccessivo dolore al carico del peso sull’arto operato
  • Formazione di fistole (tramiti di comunicazione tra gli strati profondi e la pelle, spesso con fuoriuscita di liquido sieroso o pus)
  • Anomalie agli esami del sangue ( trend in aumento dei globuli bianchi e degli indici infiammatori come VES e PCR)

La diagnosi delle infezioni delle protesi

La diagnosi di infezione periprotesica è un processo molto difficile anche per i chirurghi più esperti. Questa richiede l’integrazione degli aspetti clinici ( febbre, tipo di dolore, stato della ferita etc.) con gli esami del sangue e del liquido sinoviale prelevato con artrocentesi dall’articolazione ed eventualmente con le indagini strumentali come risonanza magnetica (RMN), TAC e soprattutto la scintigrafia (utili nei casi di infezioni tardive, più difficili da diagnosticare). 

Per le forme di infezioni tardive è recentemente diventato un esame importante, anche se non ufficialmente validato, la scintigrafia che, integrando i risultati di scintigrafia trifasica con quelli della scintigrafia con leucociti marcati, permette di comprendere se effettivamente vi sia o meno una mobilizzazione della protesi e se questa sia una mobilizzazione settica o asettica (cioè non correlata a infezioni).

Soprattutto sulle infezioni tardive e mobilizzazioni di protesi a distanza di anni il processo diagnostico e decisionale è davvero complesso e spesso rimane impossibile giungere a una diagnosi di certezza prima dell’eventuale reintervento.

E’ però importante seguire un processo decisionale rigoroso e basato sulle evidenze scientifiche. Lo strumento attualmente più importante per decidere sono i “Criteri di Philadelphia”: una serie di parametri e valori che aiutano in clinico a indirizzare il processo diagnostico dell’infezione della protesi.

Ecco perché sconsiglio ai pazienti di affidarsi al “dottor Google” per trovare poi delle informazioni allarmanti magari per un banale rialzo dei globuli bianchi dovuto a un raffreddore associato a un qualche altro sintomo. 

Quindi come si tratta l’infezione?

Una volta fatta diagnosi, bisogna passare all’azione. Spesso gli antibiotici per bocca o per via endovenosa non sono sufficienti e bisogna quindi programmare un intervento chirurgico di revisione della protesi. Questo perché una protesi infetta non può integrarsi correttamente nell’osso e quindi non può svolgere correttamente la sua funzione di nuova articolazione.  

In uno dei prossimi articoli analizzeremo le tipologie di intervento chirurgico che si possono effettuare in caso di infezione delle protesi.

Per il momento è importante sottolineare come il rischio, pur esistendo, rimane fortunatamente marginale e che un intervento di impianto di  protesi eseguito da uno specialista unito ad un’attenta valutazione del proprio corpo nelle settimane precedenti e immediatamente successive all’intervento possono ulteriormente ridurre ogni rischio.